Vini dealcolati tra regole, nuove opportunità e tecnologie

Dopo il via libera alla riforma, che permette la produzione anche all’Italia, associazioni e Cantine scommettono sulla loro crescita. Sia sul mercato, con una platea di consumatori interessati in progressivo aumento, sia in termini di qualità, grazie alle ultime frontiere sul fronte tecnico. Le considerazioni di Paolo Castelletti (Uiv), Piero Mastroberardino (Federvini) e Albano Vason (Vason Group).

Poco consumati, ma da tempo molto chiacchierati, i vini dealcolati potrebbero presto togliersi l’etichetta di bevande di nicchia. Associazioni di rappresentanza del vino e un numero crescente di produttori vedono nei NoLo – neologismo che abbraccia no alcol e low alcol – prodotti in grado di aprire nuovi mercati, che non incrocino calici con quelli tradizionali, e li riconoscono come potenziali antidoti alle drastiche misure per curare gli effetti della crisi di consumi (leggasi, ad esempio, l’espianto dei vigneti), dopo il sì alla discussa riforma in materia.

Le regole della dealcolazione
Rimasto incastrato a lungo tra posizioni tradizionaliste e innovatrici, il nuovo decreto sui vini dealcolati – oltre ad abbandonare ufficialmente il cacofonico “dealcolizzati” – ha infatti spalancato le porte anche per l’Italia alla loro produzione. E rappresenta, de facto, un passo destinato a produrre interessanti evoluzioni. Partendo da un affinamento dei processi di dealcolazione per migliorare la qualità organolettica messa in bottiglia, oggi forse la pecca più grossa di cui soffrono questi prodotti.

Con il via libera definitivo del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida dello scorso 18 dicembre, l’Italia si è allineata (pur in ritardo di tre anni) alla normativa europea (contenuta nel regolamento Ue n. 2021/2117). Alla dicitura “vino” e in etichetta andrà aggiunta la specifica “dealcolato” se dalla riduzione risulti un tasso alcolico inferiore a 0,5%, o “parzialmente dealcolato” se dotato di “un titolo alcolometrico effettivo minimo della categoria che precede la dealcolazione (cioè 8,5% vol. ndr)”.

Cosa si può fare e cosa no
“È possibile”, recita il testo del decreto, “ridurre parzialmente o totalmente il tenore alcolico dei vini, dei vini spumanti, dei vini spumanti di qualità, dei vini spumanti di qualità di tipo aromatico, dei vini spumanti gassificati, dei vini frizzanti e dei vini frizzanti gassificati”. Restano dunque esclusi dall’opzione tutti i vini con menzione Igt, Doc e Docg.
Le nuove norme stabiliscono anche le tecniche adottabili per i produttori: la decurtazione del tenore di alcol può essere ottenuta ricorrendo, singolarmente o congiuntamente (è il caso delle cosiddette tecniche “combinate”) a tecnologie di evaporazione sottovuoto, alle tecniche a membrana e alla distillazione. È inoltre vietato aumentare il tenore zuccherino del mosto e aggiungere acqua o aromi esogeni al prodotto, mentre si consente il recupero e riutilizzo dell’acqua e degli aromi endogeni dalla soluzione idroalcolica (acqua e alcol) derivante dal processo, a condizione che avvenga in un circuito chiuso e automatico.

Al tipo di procedimento scelto per la produzione è collegato il tema delle accise. Nel caso venga adottato il metodo della cosiddetta “membrana a contatore” la percentuale di alcol contenuta nella soluzione idroalcolica “di scarto” è molto ridotta (si parla dello 0,5% o al massimo dell’1,2%) e non utilizzabile a scopi commerciali e dunque le Cantine non saranno sottoposte a sovrattasse. Viceversa, un prodotto secondario con più alte percentuali di alcol sarà assoggettato alle normative vigenti.

Alcol free come opportunità di mercato
L’allineamento italiano alle direttive Ue è stato salutato con favore dalle associazioni di rappresentanza del vino, come Unione Italiana Vini, da sempre in prima linea per permettere la produzione di vini dealcolati. «Fino ad oggi le imprese italiane del vino hanno perso la possibilità di fare business su questi prodotti o comunque pagato il pegno di maggiori costi perché costrette a spostare all’estero la produzione», ha sottolineato Paolo Castelletti, segretario generale dell’Uiv.

Non a caso, all’indomani del via libera al decreto sui dealcolati, un colosso come Schenk Italia, azienda con fatturato 2023 di 141 milioni di euro e che fino a oggi ha prodotto tra le 50 e le 80 mila bottiglie di vini e bevande dealcolate in Spagna, ha annunciato di voler riportare la produzione in Italia.

In Italia una platea potenziale di 14 milioni di consumatori
«Anche chi è partito da poco più di un anno ha già ottenuto risultati lusinghieri in termini di vendite e gli investimenti sono in forte crescita», prosegue Castelletti. E in questo senso rappresentano un esempio le imprese italiane che dealcolano in Germania, come Argea, Hofstätter o Mionetto, con quest’ultima che l’anno prossimo toccherà una produzione di 3 milioni di bottiglie di vino dealcolato.

Nella stessa Germania, tra i primi Paesi europei ad aprire alla produzione, le bollicine dealcolate rappresentano il 7% di tutto il segmento degli spumanti. Negli Usa, il segmento dei NoLo vale già oltre il miliardo di euro. E le prospettive di crescita anche del mercato italiano sono reali, almeno secondo una ricerca firmata Swg per la stessa Uiv presentata allo scorso Vinitaly (quando ancora il progetto di legge era impantanato), secondo cui il vino senz’alcol interessa 1 milione di non bevitori di alcolici e potrebbe avere una platea di 14 milioni di consumatori di vino.

Alternative a espianti e invenduto
«Da congiunturale, il calo dei consumi di vino sta assumendo i contorni di un’evidenza strutturale, una flessione legata alla scarsa attrattività verso i giovani», prosegue Castelletti. «L’invenduto aumenta, solo nelle Cantine italiane ci sono circa 40 milioni di ettolitri di vino in giacenza, per questo i prodotti a bassa gradazione alcolica possono rappresentare un’alternativa. E perfino scongiurare misure drastiche alle quali stiamo già assistendo all’estero, come quelle che riguardano l’espianto di vigneti. Emblematico è in questo senso il caso di Bordeaux».

«C’è da sottolineare poi», aggiunge ancora il segretario dell’Uiv, «che questi prodotti non sono in concorrenza col vino tradizionale: le due categorie si rivolgono a platee di consumatori molto diverse e l’una non è in grado di sottrarre quote all’altra».

Sono vini costosi da produrre
«Il via libera alla produzione di dealcolati permette all’Italia di non avere situazioni di svantaggio competitivo nei confronti di altri sistemi-Paese in cui la pratica è consentita e, al contempo, a chi fa vino di mantenere il controllo di questa categoria merceologica», sottolinea Piero Mastroberardino, vicepresidente di Federvini.
Certo, per quantificare le reali possibilità commerciali dei dealcolati occorre anche fare la tara su costi fatalmente più alti di quelli tradizionali, ma anche questo aspetto potrebbe non rappresentare un grosso ostacolo.
«Dotarsi di impianti di dealcolazione ha costi non inferiori a 400 mila euro, una cifra che richiede riflessioni in relazione a volumi prodotti e ammortamenti», prosegue Mastroberardino. «Per questo in una prima fase immagino poi la costituzione di centri-servizi che opereranno per conto di più Cantine sui processi di sottrazione alcolica. E ci sono da valutare anche gli investimenti in termini pubblicitari per collocare un prodotto che resta molto diverso dal vino».

«La “doppia lavorazione”, vinificazione e sottrazione alcolica, cui sono soggetti i dealcolati difficilmente permette di avere un costo a scaffale inferiore ai 12/13 euro a bottiglia, ma anche questo non rappresenta un aspetto economico insormontabile», aggiunge il segretario di Uiv. «Anche perché deve essere chiaro che per ottenere vini dealcolati di buona qualità occorre partire da prodotti base di alto livello e non da vinelli di scarto. E anche sul piano della qualità ultimamente sono stati fatti passi da gigante».

No alcol e low sugar: questione di tecnologia
Quello della piacevolezza di gusto è forse il tema più critico che afferisce alla categoria, che ha necessità di ricercare nuovi equilibri fisico-chimici e organolettici. Ma anche sotto questo aspetto sono stati già fatti notevoli passi avanti: se fino a pochi anni fa si trattava di prodotti sgraziati e bisognosi di avere un residuo zuccherino di almeno 50-60 g/l, oggi l’evoluzione tecnologica permette di creare vini alcol zero e anche low sugar, con risultati di qualità crescente.

«Rispetto alla vecchia tendenza di compensare la sottrazione alcolica, e quindi una certa mancanza di rotondità all’assaggio, con l’apporto di zuccheri, le ultime frontiere tecnologiche permettono di ottenere vini organoletticamente molto più soddisfacenti e al contempo completamente secchi e dunque orientati verso un consumo più salutare», conferma Albano Vason, membro del cda dell’azienda enologica veneta Vason Group, che produce e commercializza biotecnologie e coadiuvanti per l’industria enologica.

Verso le mild tecnologies e prodotti di maggiore qualità
«Le tecnologie di dealcolazione che utilizzano la temperatura», prosegue Vason, «sono già utilizzate in Usa e Australia e da grandi gruppi tedeschi o spagnoli e anche se nel tempo sono migliorate, riscaldano il prodotto e comportano una perdita di aromi che poi devono essere recuperati. Si tratta di un processo, per capirsi, che ricorda la pastorizzazione del latte. L’evoluzione sta portando a tecnologie di dealcolazione a freddo, come quelle a membrana anche se queste ultime comportano un grande utilizzo di acqua. Nel prossimo futuro potrebbero invece svilupparsi delle mild tecnologies – cioè tecnologie che permettono di minimizzare il danno termico, meccanico e ossidativo oltre che le contaminazioni chimico-biologiche che generalmente accompagnano questi processi – che risulteranno ancora più rispettose della qualità del vino. La sfida sarà proprio quella di realizzare prodotti che siano organoletticamente sempre più vicini alla controparte tradizionale. Forse non ci si arriverà mai, ma certamente bisogna tener presente che per fare buoni dealcolati bisogna partire da vini di qualità. Per questo la cura enologica e il ruolo dell’enologo nel processo è cruciale. Tanto che quella dei dealcolati potrebbe rappresentare una nuova frontiera dell’enologia moderna».

Foto di apertura: il decreto firmato dal ministro Lollobrigida lo scorso dicembre ha aperto le porte alla produzione dei vini dealcolati anche in Italia © Z. Hagy – Unsplash

Tag: Albano Vason, Federvini, Paolo Castelletti, Piero Mastroberardino, Uiv, Vason Group, Vini dealcolati

© Riproduzione riservata - 24/01/2025

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